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268 | ATTO SECONDO |
SCENA VI.
Donna Lucrezia, poi donna Laurina dalla camera di fondo.
Lucrezia. Venite meco, e lasciatela dire.
Laurina. Ah, signora zia, difendetemi.
Ermanno. Che cosa c’è?
Laurina. Mia madre grida, minaccia.
Ermanno. Nelle nostre camere non ci verrà.
Lucrezia. Non dovrebbe ardir di venirci; eppure ci sarebbe venuta, se non la tratteneva il signor Pantalone de’ Bisognosi.
SCENA VII.
Florindo dalla stessa camera, e detti.
Florindo. Giuro al cielo, non soffrirò tali insulti.
Ermanno. Che cosa è stato?
Florindo. Vostra cognata non ha prudenza.
Lucrezia. Eh, l’aggiusterò io.
Ermanno. L’aggiusteremo noi.
SCENA VIII.
Il Notaro dalla stessa camera, e detti.
Notaro. Signori, mi vogliono far fare la figura del babbuino?
Lucrezia. Con chi l’avete?
Notaro. Mi mandano a chiamare per la seconda volta, e nuovamente sono cacciato via.1
Lucrezia. Animo dunque, si termini di stipulare il contratto. Si costituisca la contraddote, e gli sposi si diano immediatamente la mano.
Florindo. Via, signora donna Laurina, porgetemi la destra.
Laurina. Eccola, signore.
- ↑ Non si dice se il notaro parta; ma più non comparisce in scena.