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192 | ATTO TERZO' |
Dottore. Fratello, abbiate giudizio.
Orazio. Animo, dico, fuori il denaro. (a Pantalone)
Ridolfo. Denaro, signor Pantalone.
SCENA XVI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Signore, un tenente accompagnato da un caporale con granatieri, desidera di parlarvi. (a Pantalone)
Pantalone. Son qua.
Orazio. (Misero me!) (da sè) Sarà un mio... Sì signore, andate... poi per la cambiale... basta, ne parleremo. (Mi potessi almeno nascondere), (da sè, e parte confusamente per la parte opposta all'ingresso)
Pantalone. Coss’è sto negozio?
Ridolfo. Se non pagherete, sarà peggio per voi. (a Pantalone)
Dottore. Voi non c’entrate. (a Ridolfo)
Pantalone. Andemo a veder cossa che vol sto sior tenente.
Ridolfo. Verrà per ordine del colonnello a farvi star a dovere. Povero signor Pantalone! Verrò con voi per vostra salute. Il maggiore del reggimento può unicamente in questo caso giovarvi.
Pantalone. No so cossa dir. Sarà quel che piaserà al cielo. Andemo, fio mio, no me abbandonè. (ad Ottavio) Dottor, vegnì via anca vu. (parte)
Ottavio. Non mi staccherò da mio padre. (parte)
Dottore. Son qui; almeno colle parole. (parte)
Ridolfo. Dia denaro alla truppa, ed ogni cosa passerà bene. Anche il maggiore deve principiare ad aver la sua paga. (parte)
SCENA XVII.
Altra camera remota in casa di Pantalone, con un armadio nel fondo.
Flamminio ed Orazio.
Orazio. Caro amico, nascondetemi in qualche luogo.
Flamminio. Nascondervi? Perchè?
Orazio. Per fare una burla al signor Pantalone.