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188 | ATTO TERZO' |
Ottavio. Degli uomeni che non si conoscono, degli uomini che non rendono conto dell’esser loro, non è colpevole il dubitare; e nel caso nostro viene autenticato il ragionevole mio sospetto da un altro mercante, che non crede ad Orazio come voi credete.
Pantalone. Chi xelo questo?
Ottavio. Il signor Salamone, uomo onorato, ma cauto e circospetto. Sopra di lui Orazio ha una cambiale simile di tremila zecchini a vista, ma egli non gliela paga, se prima non ha ordini replicati dal supposto traente: con ciò viene a sospettare di quello che l’esibisce, e Orazio non insiste, segno manifesto di qualche interno rimorso.
Pantalone. Voleu che ve la diga, che sta cossa me fa sospettar anca mi?
Ottavio. Aprite gli occhi, signor padre. Vi sono degl’impostori moltissimi per il mondo.
Pantalone. Caro fio, no so cossa dir. Mi, quel che fazzo, lo fazzo per ben; per mantegnir onoratamente la mia fameggia. Savè anca vu quanto che ho speso fin adesso per mantegnirve in collegio con reputazion.
Ottavio. Vi pare di aver gettato il denaro?
Pantalone. No, fio mio, lo benedisso mille volte, e non ho speso bezzi al mondo con più profitto de questi. Sto solo avviso che me dà adesso el vostro amor, la vostra prudenza, recompensa tutte le spese che ho fatto in tanti anni per vu.
Ottavio. Voglia il cielo ch’io possa in ogni tempo mostrarvi...
SCENA XI.
Il Dottor Polisseno e detti.
Dottore. Oh di casa. (dentro)
Ottavio. Il dottor Polisseno. (a Pantalone)
Pantalone. Felo vegnir avanti. (ad Ottavio)
Ottavio. Anche questo signor Dottore è bene imbrogliato con il degnissimo signor capitano. (parte)