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184 | ATTO TERZO' |
Brighella. (Dalla parte dell’osteria, ma non dalla porta) Ecco ai so piedi, lustrissimo sior tenente, un poveromo, che confida in te la so pietà, e in te la fede che la s’ha degnà de farme assicurar.
Tenente. Mi conoscete?
Brighella. Lustrissimo sì. Sibben che non era della so compagnia, ho l’onor de conosserla, e son qua a svelarghe colui che è stà causa della mia deserzion, che l’è un pezzo de carne de collo, ma come va.
SCENA VIII.
Orazio ad una finestra sotto il letto dell’osteria, e detti.
Orazio. (Ah scellerato! Brighella mi tradisce. Fuggasi e si deluda l’indegno). (si ritira)
Brighella. Oltre a questo, posso offerir a V. S. illustrissima della bellissima zente; ghe dirò po come fatta, come vestida...
Tenente. Basta così; questo non è luogo per discorrere più lungamente sopra di ciò. Ritiriamoci in altro sito meno esposto e meno sospetto.
Brighella. Se la comanda, podemo entrar in sta osteria.
Tenente. È un’osteria questa?
Brighella. Sì, signore; el mio camerada, per politica, ha buttà zoso l’insegna.
Tenente. Costui dove si trova?
Brighella. Là dentro, signor. La manda una pattuglia, e i lo trova là caldo caldo.
Tenente. Caporale. (ad un caporale dei suoi) Fate fare a sei granatieri baionetta in canna, entrate in quell’osteria, e assicuratevi d’uno... Come si chiama? Com’è vestito? Ditelo al caporale. (a Brighella)
Brighella. L’è un tal Orazio Sbocchia. (al caporale)
Caporale. Lo conosco benissimo.
Tenente. Presto dunque, conducetelo fra le armi. (Il caporale sceglie sei granatieri; fa far loro baionetta in canna ad uso militare, e ponendoli a due a due, egli alla testa, entrano nell'osteria aperta colle chiavi da Brighella.)