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178 | ATTO TERZO' |
SCENA II.
Arlecchino e detti.
Arlecchino. Con grazia, se pol intrar? (avanzandosi)
Dottore. Quando siete entrato, è segno che si può entrare.
Arlecchino. Cussì diseva anca mi.
Ridolfo. Buon giorno, vivandiere.
Arlecchino. Servitor umilissimo. Cossa sala vussioria della carica de vivandier?
Ridolfo. Non l’ho da sapere io? Sono il maggiore del reggimento.
Arlecchino. Vussioria l’è el maggior?
Ridolfo. Sì; io sono il maggiore.
Arlecchino. Compatirne, sior, no l’è vero gnente.
Ridolfo. Come, non è vero?
Arlecchino. No l’è vero, perchè in sto reggimento gh’è dei soldadi grandi, che son maggiori de vussioria.
Ridolfo. Povero sciocco!
Dottore. Non lo sapete chi è? (a Ridolfo) E bene, galantuomo, che cosa posso fare per voi?
Arlecchino. La me pol pagar, se la vol.
Dottore. Pagarvi di che?
Arlecchino. De quel che ho d’aver.
Dottore. Ma da chi?
Arlecchino. Dai soldadi.
Dottore. Che c’entro io coi soldati?
Arlecchino. Oh bella! No elo vussioria el cassier?
Dottore. Io cassiere?
Ridolfo. No, amico, mio fratello non è il cassiere, è l’auditore del reggimento.
Dottore. Se sarà vero.
Ridolfo. Se sarà vero? (con ira)
Dottore. Sono venute le bandiere? (a Ridolfo)
Ridolfo. Sì, sono venute. (con ira)
Dottore. Sarà vero.
Arlecchino. Sal lezer vussioria. (al Dottore)