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L'IMPOSTORE 167


Orazio. Buon giorno, galantuomo. Siete voi l’oste che ha dato da mangiare alla mia gente?

Arlecchino. Per servirla.

Orazio. Appunto desiderava vedervi. Siete stato soddisfatto?

Arlecchino. Lustrissimo sior no.

Orazio. Bene, farò che lo siate. Avete il vostro conto?

Arlecchino. Lustrissimo sior sì.

Orazio. Lasciatelo a me vedere.

Arlecchino. Eccolo qua. Me raccomand alla so carità, perchè son poveromo, signor.

Orazio. O povero, o ricco che siate, questo non fa il caso. Voglio che tutti sieno pagati, e con ogni puntualità ed esattezza. Io sono un soldato onorato.

Arlecchino. El cielo la benediga, sior soldado, e ghe daga grazia de deventar caporal.

Orazio. Poveruomo, siete un poco semplice, non è vero? Non sapete ch’io sono il colonnello del reggimento?

Arlecchino. Mi, signor, de ste cosse no me n’intendo; me basta saver che vussioria l’è quello che m’ha da pagar.

Orazio. Sì, io vi devo pagare, e vi pagherò. Vediamo il conto. (legge)

Arlecchino. La vederà un conto da galantomo.

Orazio. Trenta boccali di vino, paoli quindici. Che diavolo! quindici paoli trenta boccali di vino?

Arlecchino. Quest l’è el prezzo stabilido da chi comanda; no ghe mett un quattrin d’avantazo.

Orazio. È poco, caro amico, è pochissimo; se farete così, i miei soldati s’ubriacheranno con troppa facilità. Mettete il vino un paolo al boccale; trenta boccali di vino, paoli trenta.

Arlecchino. (Eh, fina cussì el conto el se pol regolar), (da sè)

Orazio. Siete di ciò contento?

Arlecchino. Quel che la fa, signor, sia ben fatto.

Orazio. Non l’avete già a male ch’io alteri il vostro conto, non è vero?

Arlecchino. Eh, no so po gnente pontiglioso.