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166 | ATTO SECONDO |
Brighella. Se pol far la lettera d’avviso, come s’ha fatto la cambial.
Orazio. Non siamo più in tempo. Anzi, s’egli ha scritto al suo corrispondente, questa è la maniera d essere scoperti. Convien andarsene; ma due cose mi premono innanzi di partire.
Brighella. Che son?
Orazio. Il vestiario del signor Pantalone, e la di lui figliuola. Il primo l’averò domani. Quell’altra m’ingegnerò di non perderla.
Brighella. Sior Orazio, no fe che l’amor ve minchiona.
Orazio. Oltre l’amore, vi è l’interesse. Diecimila ducati in denaro contante.
Brighella. Basta; bisogna far presto.
Orazio. Fra oggi e domani. Tu intanto non mi perder di vista, stammi sempre poco lontano, e se mi vedi in qualche impegno, accorri a liberarmene con qualche pretesto.
Brighella. In questo lassè far a mi. Gh’è un altro imbrogietto adesso da comodar.
Orazio. Che cosa e’è?
Brighella. L’oste che ha dà da magnar ai soldadi, l’è qua colla lista, che el vorave esser pagà.
Orazio. Fallo venire avanti.
Brighella. Avì da pagarlo?
Orazio. Non importa, fallo venire.
Brighella. Gh’ho dà speranza che el sarà vivandier, ma tant’e tanto el vol esser paga.
Orazio. Fallo venire, ti dico, e sta pronto quando ti chiamo.
Brighella. Benissimo, penseghe vu; e averti ben che i soldadi i è de bon appetito, e che costù no ghe vol dar altro, (parte)
SCENA XI.
Orazio, poi Arlecchino.
Orazio. Queste per me sono piccole cose. Far tacere un oste è la cosa per altri la più difficile, e per me è la più facile.
Arlecchino. Fazz reverenza a vussustrissima.