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160 ATTO SECONDO


Ridolfo. Me ne rallegro infinitamente.

Pantalone. Ghe la darò, se el cielo l’averà destinada per elo.

Ridolfo. La dote si è stabilita?

Pantalone. Circa la dota...

Orazio. Per la dote non vi è che dire, sono diecimila ducati.

Dottore. (Ora capisco che cosa vogliono: ch’io stenda il contratto di nozze. Questo pazzo me lo poteva dire). (da sè, accennando Ridolfo)

Ridolfo. Dunque ogni cosa è accomodata. (a Pantalone)

Pantalone. Ghe xe la solita difficoltà.

Orazio. Una freddura che non val niente.

Ridolfo. In che consiste questa difficoltà? (a Pantalone)

Pantalone. Che no ghe posso dar la dota senza una sicurezza.

Ridolfo. A questo passo io v’aspettava. Per questo son qui venuto, per questo ho fatto meco venire il Dottor mio fratello.

Dottore. Acciò ch’io stenda il contratto.

Ridolfo. No, acciò che voi facciate la sicurtà al signor Pantalone.

Dottore. Io?

Pantalone. Co sior Dottor se contenta, mi son più che contento.

Orazio. Il signor Dottore non vorrà per me quest’incomodo.

Ridolfo. Anzi si farà gloria di poter servire il signor colonnello.

Dottore. Ma, caro fratello, sapete pure che ho fatto un giuramentone grandissimo di non far sicurtà a nessuno.

Ridolfo. Eh, che in queste cose i giuramenti non tengono. A noi altri militari non si danno ad intendere queste scioccherie.

Pantalone. Sior Dottor, se gh’avè delle difficoltà, in sta sorte de cosse no se fa complimenti.

Ridolfo. Che difficoltà? Niente affatto; lo farà subito.

Dottore. Perchè non la fa lei, signor fratello, la sicurtà colla sua parte de’ beni che ha consumata?

Ridolfo. Se avessi i beni che ho consumati, non mi farei pregare, come voi fate, a usare un atto di gratitudine a chi vuol farmi del bene; nè mi ridurrei a mangiare il poco pane che voi mi date, misto di rimproveri e di mala grazia.

Dottore. Sentono, i miei signori? Ecco i ringraziamenti di un