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156 ATTO SECONDO


Pantalone. No voggio altre rason. Co comando, voggio esser obbedio; domandeghe scusa.

Ottavio. Sì, lo farò: i comandi assoluti d’un padre sono leggi inviolabili ad un figliuolo. Signore, vi chiedo scusa. Sarete ben persuaso, che ad un tal passo non è la viltà che mi guida, ma il rispetto soltanto, e l’obbedienza ad un padre. A lui sagrificare saprei la vita medesima, che da lui riconosco; molto più frenar posso, per compiacerlo, gli stimoli d’un giusto sdegno, di un’onorata vendetta. Torno a ripetere, vi chiedo scusa. Eccovi obbedito, signore. (a Pantalone) Ecco adempito alla volontà vostra, ed al mio dovere; partirò per maggior rispetto: ma nel momento ch’io parto, permettetemi che vi avvertisca d’invigilare un po’ meglio sulla condotta di vostra figlia, e di chi s’introduce nella nostra casa; protestandovi col più umile filiale ossequio, che mi scorderò anche della obbedienza medesima, dove si tratterà di difendere il decoro della nostra onorata famiglia. (parte)

SCENA V.

Pantalone ed Orazio.

Pantalone. (Siestu benedio. Come che el parla pulito!) (da sè)

Orazio. (Questo ragazzaccio vuol essere la mia rovina). (da sè)

Pantalone. Sior capitanio carissimo, no so cossa che voggia dir Ottavio della condotta de mia fia, e de chi vien in sta casa. In fatti, vago osservando... vu savevi che giera al magazen; per cossa seu vegnù qua in tempo che no me podevi trovar?

Orazio. Io non sapeva che foste ne’ magazzini. Son qui venuto per i tremila zecchini.

Pantalone. El vestiario xe all’ordine. Doman la lo gh’averà.

Orazio. Basta, son un uomo d’onore, ho data la mia parola, lo prenderò, ma con un patto.

Pantalone. Con che patto?

Orazio. Che ponghiate freno agl’impeti di vostro figlio, che l’ob-