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L'IMPOSTORE | 139 |
Dottore. Mi maraviglio, signore. Io sono un galantuomo, sono un uomo d’onore. I miei debiti non li pago così. Domando liquidazione, e non carità. Voglio pagare il giusto, e non voglio marche di disonore, d’impuntualità, di fede sospetta. La ricevuta, senza il pagamento seguito, rende vana, inutile la cambiale, onde si può lacerarla, come ora faccio. La rimanderò all’amico; narrerò il fatto; darò merito alla di lei generosità; ma nel tempo medesimo salverò l’onor mio e la mia illibata puntualità. (parte)
SCENA VII.
Ridolfo ed Orazio.
Ridolfo. Mio fratello è un pazzo.
Orazio. No, amico: egli è un onestissimo galantuomo, e certamente sempre più m’impegna a dargli prove della mia stima. Lo farò ricco, lo farò grande, lo renderò felice.
Ridolfo. Sì, mi piace infinitamente che mio fratello abbia del bene; ma vi raccomando la mia persona. Ricordatevi, caro amico, che io sono stato il primo...
Orazio. Sì, egli è vero, e vedrete quello che farò per voi.
Ridolfo. Lo stato maggiore è completo? Le piazze di tenente colonnello, di maggiore, le avete già conferite?
Orazio. Il tenente colonnello è già fatto. Per il maggiore ho un impegno, ma si potrebbe vedere...
Ridolfo. Via, vediamo.
Orazio. La persona che mi ha impegnato, ha sborsato a conto dugento zecchini: ora, per dirla, pare che non si trovi in istato di arrivare all’intiero sborso.
Ridolfo. A quanto dovrebbe ascendere la somma per una tal piazza?
Orazio. Già sapete che da voi non voglio niente. Basterebbe poter rendere a quel tale i suoi dugento zecchini.
Ridolfo. Questa è cosa facile. Si renderanno subito.
Orazio. L’avete voi questa somma?
Ridolfo. Mio fratello.