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IL GELOSO AVARO | 35 |
SCENA XX.
Donna Aspasia, poi don Luigi.
Aspasia. In tutti gli stati vi è il suo male e il suo bene. Un marito che non ha memoria, che non abbada, che lascia fare, non è certamente cattiva cosa per una moglie; ma se la sua stolidezza pregiudica la famiglia, anche la moglie se ne risente. Non c’è altro rimedio che questo: prender io il maneggio, l’economia della casa; e quello che ora si manda a male per l’inavvertenza di mio marito, impiegarlo con più proposito in qualche gioja, in qualche divertimento per me.
Luigi. Sorella mia, son disperato!
Aspasia. Non ve lo detto io, che non farete niente?
Luigi. Voi avete detto una bestialità.
Aspasia. Dunque avete fatto.
Luigi. Ho fatto il diavolo che vi porti.
Aspasia. Chi v’intende, è bravo. Come è andata con donna Eufemia?
Luigi. Con lei non anderebbe male: ma suo marito è insoffribile.
Aspasia. La cioccolata l’ha ricevuta?
Luigi. Sì, la cioccolata, il bacile, una boccetta d’oro, tutto.
Aspasia. Dunque va bene.
Luigi. Va malissimo. Pantalone accetta i regali, poi strapazza la moglie, mortifica le persone, e tira a cimento di precipitare.
Aspasia. Dunque è finita.
Luigi. È finita? principia ora. Sono impuntato, e non son chi sono, se a colui non gliela faccio vedere.
Aspasia. Ma come?
Luigi. Ditemi, ditemi: il ventaglio a donna Eufemia l’avete dato?
Aspasia. Non vi è stato rimedio, non l’ha voluto.
Luigi. L’ho detto: non siete buona da niente.
Aspasia. Oh bella! ma se...
Luigi. Ma se ha preso da me una boccetta d’oro, poteva molto meglio prendere da voi un ventaglio.
Aspasia. Ha presa dunque un boccetta d’oro?