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86 | ATTO SECONDO |
no son zeloso, e che sia la verità, vago a far un interesse; restè qua co mia muggier. (a don Luigi)
Eufemia. No, no; andiamo.
Pantalone. Restè, ve digo. (a donna Eufemia)
Eufemia. Ma se io...
Pantalone. Ma se mi voggio che restè. Quando voggio, no se responde. (parte)
SCENA XVI.
Donna Eufemia, don Luigi, Pantalone sotto la portiera.
Eufemia. (Gran pazienza è la mia!) (da sè)
Luigi. Donna Eufemia, permettetemi ch’io dica che voi meritereste un migliore marito.
Eufemia. Signore, io ne sono contenta: e voi, perdonatemi, non avete ragione di parlar così.
Luigi. Certamente; non dovrei dolermi di lui, se mi concede di poter a restare da solo a sola con voi.
Eufemia. Egli l’ha fatto per disingannarvi del mal concetto che avete del suo costume.
Luigi. Lodo una moglie che sa difendere il suo marito.
Eufemia. Ed io non lodo quelli che del marito parlano con poco rispetto alla moglie.
Luigi. Non temete ch’io voglia più dispiacervi per questa parte. Troppo vi stimo, per non evitare1 il pericolo di non disgustarvi.
Eufemia. Effetto della vostra bontà.
Pantalone. (Vela qua, parole tenere). (da sè, lontano)
Luigi. Perdonate, signora, se ho ardito stamane farvi parte della nuova mia cioccolata.
Eufemia. Non era necessario che v’incomodaste per favorirmi.
Pantalone. (El l’ha mandada a ela, e no a mi). (come sopra)
Luigi. Mi consolo per altro, che spero le mie attenzioni gradite.
Eufemia. Io non voglio usare degli atti d’inciviltà; però non credo avervi dato verun segno di essermi di ciò compiaciuta.
- ↑ Guilbert, Zatta ecc.: per evitare.