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84 ATTO SECONDO


mura che ho per lei, e l’approva; non occorr’altro, siamo a cavallo). (da sè)

Traccagnino. E cussì, sior, mi son restà senza el ducato.

Luigi. Eccone un altro, e di più se vuoi.

Traccagnino. La fazza ela; mi no dirò mai basta. L’è qua el padron. Vago via, ghe son servitor. (parte)

Luigi. Ecco Pantalone con donna Eufemia. Per quel ch’io vedo, il denaro può tutto. Quasi, quasi, questa troppa facilità mi raffredda. La credeva più sostenuta; e quei stolti dicevano: Non farete niente.

SCENA XV.

Pantalone, donna Eufemia e detti.

Pantalone. Ecco qua siora donna Eufemia, che vuol riverir el sior don Luigi.

Eufemia. (Imprudentissimo uomo! Vuol farmi fare di quelle figure che non mi convengono). (da sè)

Luigi. Signora, ho l’onore di rassegnarvi la mia umilissima servitù.

Eufemia. Sono tenuta alle generose finezze.

Pantalone. (Pronta! la responde con spirito ai complimenti), (da sè)

Luigi. Mi aveva fatto credere il signor Pantalone, che aveste un eccessivo dolor di capo; ciò mi recava una pena infinita.

Eufemia. Grazie al cielo...

Pantalone. Grazie al cielo la sta qualcossa meggio, ma ancora el dolor xe ustinà. El gh’ha un spirito eccellente el sior don Luigi per el mal de testa. (a donna Eufemia)

Luigi. Sì signora; per dir il vero, questo mio spirito è un cefalico esperimentato.

Eufemia. Occorrendo vi pregherò.

Pantalone. Occorrendo? In ste cosse no ghe vol complimenti. Le medesine no se recusa.

Luigi. Ecco, signora, se vi degnate.

Eufemia. In verità non mi occorre.