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78 | ATTO SECONDO |
fatto confermare da voi medesima. L’avete pur detto alla mia presenza.
Eufemia. (Piange.)
Dottore. Ah figliuola mia, voi piangete? Qui vi è del male. Avete avuto qualche disgusto? Vi ha fatto qualche cosa vostro marito? Parlate, confidate con me.
Eufemia. Ah signor padre, non posso più.
Dottore. Oh cielo! Qual novità è mai questa?
Eufemia. Non è cosa nuova ch’io peni, ma sarà cosa nuova che io parli. Mio marito son anni che mi tormenta; non mi lascia avere un momento di pace. È geloso senza motivo di esserlo: è sospettoso senza ragione. Non basta ch’io lo secondi, ch’io l’obbedisca, ch’io taccia. Pare ch’egli gioisca nel tormentarmi; pare ch’io sia la sua maggior nemica. Non parlo del poco cibo, non mi lagno del miserabile trattamento. Una veste mi basta, una vivanda mi sazia; ma oh Dio! più strapazzi che pane! È una miserabile vita che mi fa bramar di morire.
Dottore. Oh me infelice! Voi mi cavate le lacrime dal fondo del cuore. Cara figliuola mia, voi avete per consorte una tigre, e lo sopportate per sì lungo tempo? Vi ho ancor io consigliato a soffrirlo, finchè ho creduto che la di lui cattivezza si potesse tollerare; ma ora che sento che si rende insoffribile e che siete tormentata in questa maniera, sono qua, Eufemia, son vostro padre, venite con me, voi starete con me. Fin che sono vivo, voi sarete padrona della mia casa e di tutto il mio cuore.
Eufemia. (Oimè! che ho fatto mai? Perduto ho in un punto tutto il merito della tolleranza? Impegnata a sostenere il decoro di mio marito, per sì lieve cagione l’averò io calpestato?) (da sè) Ah signor padre, compatite la mia debolezza. Noi donne abbiamo de’ momenti inquieti, de’ momenti funesti. Mi avete presa in un punto che mi sentiva oppressa, nè saprei dire il perchè. La vita che mi fa vivere mio marito, non è sì trista che possa ridurmi ad una violente risoluzione. Compatitemi; scordatevi delle mie doglianze; non mi credete, allorchè io parlo senza pensare. Sì, mio marito mi ama; e se ora mi sgrida, è padrone