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IL GELOSO AVARO 35

Eufemia. Non è vero.

Pantalone. No xe vero? a mi se responde no xe vero? No so chi me tegna...

Eufemia. Ammazzatemi una volta, e levatemi da queste pene.

Pantalone. Sì, ve copperò.

SCENA VIII.

Dottore e detti.

Dottore. Perchè accopparla, signore? perchè accopparla?

Pantalone. Cossa vegniu a far vu in casa mia?

Dottore. Vengo a vedere mia figliuola, il mio sangue, la mia creatura.

Eufemia. (Il cielo l’ha mandato). (da sè)

Pantalone. In casa mia no se vien senza mia licenza.

Dottore. Ma chi porta i bacili d’argento, può venire liberamente.

Pantalone. Vostra fia xe quella che li riceve.

Dottore. Eh, acchetatevi, che farete meglio. Ho saputo ogni cosa. Mia figliuola non lo avrebbe ricevuto, se voi non lo aveste preso per la vostra maledetta avarizia. Argentina mi ha detto come la cosa sta.

Pantalone. (Lenguazza del diavolo!) (da sè)

Dottore. E mi ha ancora detto, che avete levati ad Eufemia persino i quattro zecchini che le avevo dati.

Eufemia. (Gran ciarliera è colei! Mi dispiace assaissimo che gliel’abbia detto). (da sè)

Pantalone. Mi no gh’ho tolto i quattro zecchini per no ghe li dar. I xe sempre sói; quando la li vol, i xe là per ela.

Dottore. Se ne avete a male ch’io gli dia dei denari, non gliene darò più.

Pantalone. Mi no digo ste bestialità; sè so pare, la saria bella che no ghe podessi dar qualche zecchin.

Eufemia. (Manco male, si va rasserenando). (da sè)

Dottore. Ma mi dispiace che sempre in casa vostra siano delle liti.

Pantalone. Mi no parlo mai. Domandeghelo a ela. Disèlo libe-