Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
IL GELOSO AVARO | 35 |
Eufemia. Di’a Brighella che ringrazi per me il suo padrone, che scusi se gli rimando indietro la cioccolata, perchè mi fa male e non ne bevo.
Traccagnino. Più tosto, per giustarla, la beverò mi.
Eufemia. Mi hai inteso. Vattene ed obbedisci.
Traccagnino. (No m’arrecordo più cossà che gh’abbia da dir; quel ducato m’ha messo in confusion). (da sè, parte)
SCENA III.
Donna Eufemia ed Argentina, poi Traccagnino che torna.
Eufemia. Bene, signorina, che vuol dire Traccagnino del suo ducato? Che mistero vi è sotto?
Argentina. Sentite che pretensione ridicola ha colui. Il signor Dottore, come sapete, mi ha donato un ducato; l’ho detto così per modo di discorso a Traccagnino, e egli pretende ch’io gliene dia la metà.
Eufemia. Con qual fondamento lo pretende?
Argentina. Perchè è un sciocco; ma un sciocco malizioso.
Eufemia. Quello mio padre l’ha dato a te, ed è roba tua.
Traccagnino. Signora patrona, la me bastona, che la gh’ha rason.
Eufemia. Perchè? Che hai tu fatto?
Traccagnino. No m’ho recordà gnanca una parola de quel che la m’ha dito1 de dir a Brighella.
Eufemia. Bravissimo! al tuo solito. Mio marito spende bene con te il suo danaro.
Traccagnino. El ghe ne spende tanto pochetto.
Eufemia. Ora con colui cosa si farà?
Traccagnino. Mi diria debolmente, che ela in persona ghe disesse la rason.
Argentina. Traccagnino non dice male; la risposta anderà più a dovere.
Eufemia. Che infelicità con costoro! Fallo passare.
- ↑ Le edizioni del Settecento stampano: detto.