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68 ATTO SECONDO

Traccagnino. Tutta sta roba el dis cussì che la vien a vussoria.

Eufemia. A me un regalo di cioccolata?

Traccagnino. Eh, no la vaga miga in collera. Nol ghe manda miga la cioccolata sola; m’ha dit Brighella, che el gh’ha ordene de lassar el bazil.

Eufemia. Temerario! Di’ a colui che se ne vada immediatamente. Riporti il bacile, come sta, al suo padrone; e tu, frasconcella, tu che sai la mia delicatezza in simili cose, ardisci favorire un’ambasciata di tal natura?

Argentina. Signora, io non credeva...

Eufemia. Sei una temeraria.

Traccagnino. Poverazza, no la ghe staga a criar; no la l’ha fatt miga con nissuna malizia: la l’ha fatto per el ducato.

Eufemia. Che dici tu di ducato? Avresti preso forse qualche moneta per sì bell’uffìzio? Se me lo potessi sognare, ti caccierei via in questo momento.

Argentina. Possa morire, se ho neanche veduto in faccia colui che vi volea parlare.

Eufemia. Va subito: fa che Brighella se ne vada immediatamente, prima che il signor Pantalone ritorni a casa. (a Traccagnino)

Traccagnino. Arzentina, me raccomando a ti.

Argentina. Dice bene la mia padrona. Le signore della sua sorta non ricevono regali.

Traccagnino. Recòrdete, Arzentina...

Argentina. Animo, obbedisci la tua padrona.

Eufemia. Vattene, prima che colui ardisca passare avanti.

Traccagnino. Ma! el ducato.

Argentina. Il ducato è mio. Tu non ci entri.

Traccagnino. Ghel dirò alla patrona.

Argentina. Sì, ora glielo dico io, e vedrai se ho ragione. Signora, se viene il padrone e vede quell’uomo in casa, saranno guai.

Eufemia. Presto, dico, vallo a licenziare, e poi torna qua.

Traccagnino. Sia maledetto! Tolì, el ducato no lo vadagno più.

Eufemia. Senti.

Traccagnino. S’èla pentida?