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IL GELOSO AVARO | 35 |
Argentina. Eh via, date i suoi denari alla povera mia padrona.
Pantalone. E se ti butterà via quel ducato, lo scriverò a to mare. L’oro e l’arzento costa sudori. El Dottor el vadagna i bezzi con poca fadiga, a forza de chiaccole e de scritture. Ma mi so cossa che costa i bezzi: mi che li vadagno onoratamente. (parte)
SCENA XIII.
Donna Eufemia e Argentina.
Eufemia. (Ma! è toccata a me). (da se)
Argentina. (Maledetto!... non si può soffrire. Ed ella sta lì come una marmotta). (da sè)
Eufemia. Cosa dici, Argentina, da te stessa?
Argentina. Niente; s’io parlo, sono una bestia.
Eufemia. Parla, parla, che hai ragione di farlo.
Argentina. Siete troppo buona.
Eufemia. Che vuoi ch’io faccia? Da una delle due non c’è scampo: o tacere, o andarmene da mio marito.
Argentina. Quest’ultima è la più bella di tutte.
Eufemia. Vorrei pur vedere se ci fosse modo...
Argentina. È stato picchiato.
Eufemia. Guarda chi è.
Argentina. Subito. Oh, io a quest’ora, se fossi stata in vece vostra, una delle tre: o qui non ci sarei più, o la bestia saria cangiata, o lo averei pelato come un cappone. (parte)
SCENA XIV.
Donna Eufemia, poi Argentina.
Eufemia. Bella differenza che c’è da una donna civile a una donna ordinaria. Argentina potrebbe condursi in una maniera che a me non conviene. Io poi son di cuore assai tenero. Il signor Pantalone mi ha preso sulle prime con amore e con tenerezza, me ne ricordo sempre, e sempre spero ch’ei ritorni com’era. Se la rompiamo del tutto, non si accomoda più. Soffrendo e