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52 | ATTO PRIMO |
Dottore. (Poverina! è una colomba. Mi è stato detto che suo marito è un avaro). (da sè)
Argentina. Signor Dottore, non ci è niente per me?
Dottore. Prendi questo ducato: servi con amore la tua padrona.
Argentina. Che siate benedetto! Voi almeno non siete avaro, come il padrone.
Eufemia. E bada a seguitare, la disgraziata.
Argentina. Io vorrei tacere, ma ho un non so che di dentro, che mi caccia fuori le parole per forza.
Eufemia. Quel non so che, lo mortificherò io.
Dottore. Figliuola mia, non so cosa dire. Se vostro marito vi vuol bene, ringraziate il cielo, se vi tratta bene, consolatevi; e se mai fosse un uomo cattivo, se vi trattasse male, abbiate pazienza, raccomandatevi al cielo, e considerate che ci saranno tante e tante che staranno peggio di voi.
Eufemia. Io vi assicuro che non mi lamento della mia sorte.
Dottore. Quando è così, sono contento. Figliuola mia, state allegra, e se avete bisogno di qualche cosa, domandate liberamente; mandatemi a chiamare, che in tutto quello che posso, vi contenterò.
Argentina. Avrebbe bisogno d’una cosa la mia padrona.
Dottore. Di cosa?
Argentina. Avrebbe bisogno che le faceste crepar il marito.
Eufemia. Signor padre, io ho bisogno che mi ritrovate un’altra serva. Costei non la posso più sopportare.
Dottore. Taci, fraschetta, ed abbi giudizio. Non si prende tanta confidenza.
Eufemia. Ditele che moderi quella lingua, altrimenti la caccerò via sicuramente.
Dottore. Senti, modera quella lingua.
Argentina. Caro signor Dottore, non posso.
Dottore. Ma perchè non puoi?
Argentina. Perchè la mia lingua parla da sè, senza che io me ne accorga.
Dottore. Eh, so ben io qual gastigo ci vorrebbe per te.