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50 | ATTO PRIMO |
SCENA XI.
Camera di donna Eufemia.
Donna Eufemia, Dottore ed Argentina.
Dottore. Cara la mia figliuola, vi ho sempre voluto bene, e sempre ve ne vorrò.
Eufemia. Non ho altro in questo mondo che mi consoli, che voi.
Argentina. Caro signor Dottore, io non credo niente che abbiate voluto bene alla padrona.
Dottore. No? per qual cosa? È la mia figliuola, ed è il mio cuore, la mia contentezza.
Argentina. Se le aveste voluto bene, non l’avreste maritata con questo vecchio arrabbiato del signor Pantalone.
Eufemia. Temeraria! così parli di mio marito? Se ti sento più a dire una simile impertinenza, ti caccio subito dalla mia casa.
Argentina. (Oh vi anderò, perchè è impossibile ch’io taccia). (da sè)
Dottore. Dunque, per quel ch’io sento, questo vostro marito è un uomo cattivo.
Eufemia. No, signor padre, non crediate a colei. Ella non sa quello che si dica. Mio marito è un uomo d’onore.
Argentina. È usuraio, e tanto basta. (sottovoce al Dottore)
Eufemia. Che cosa dici?
Argentina. Niente, signora, diceva che è un uomo di garbo.
Dottore. Mi dispiacerebbe assaissimo, che voi doveste patire. Una figliuola unica ch’io avevo a questo mondo, alla quale ho dato dodicimila scudi di dote, e che avrà da esser erede di tutto ciò che possiedo, mi sarebbe un dolor troppo grande se la vedessi a star male. Ho creduto di mettervi in una buona casa. Un uomo solo, ricco, senza vizi, pontuale e onorato. Tutti mi hanno detto che era la vostra fortuna, ed ho creduto di far bene; e mi mangiarci le dita, se credessi d’aver fatto male.
Eufemia. No, signor padre, non vi rammaricate. Voi non avete errato, ed io non mi dolgo di mio marito.
Dottore. Siate benedetta; voi mi consolate.