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teatrale, Goldoni aveva consegnato al Medebach un canovaccio a noi ignoto «con parte delle scene scritte» dal titolo I flati ipocondriaci (v. pref. alla Donna vendicativa nel vol. IX), dov’era forse non dirò il nocciolo, ma qualche spunto della commedia presente.

Invano tentò qui il Goldoni di ringiovanire il suo ammalato immaginario (v. per es. la sc. 6, atto I, e la 5, atto II), chè lo lasciò ricadere troppo presto nella scimunitaggine: e invano per far ridere regalò al suo Truffaldino, fintosi medico con la complicità di Argentina, la balbuzie propria del Tartaglia nella commedia dell’arte. Questa comicità grossolana, di cui fece uso il Fagiuoli in Toscana, e assai meglio in Francia il Dancourt, rende più schiacciante il paragone con Molière (la rimproverò già al nostro autore Maria Ortiz, Commedie esotiche del G., Napoli, 1905, p. 33).

Anche la scena 4 dell’atto II, quando Pantalone interrompendo e sviando il discorso delude l’insistenza d’Ottavio che vuol chiedergli denaro, fu raccostata alla scena del mercante nel Don Giovanni (Festin de pierre, IV, 3: v. Maddalena, Giuoco e giuocatori cit., 20; e Toldo, 1. c., 379), ma non si può parlare di vera e propria imitazione, tanto più che espedienti comici consimili conosceva senza dubbio il teatro a soggetto. Che poi il Goldoni ritraesse in Celio «alla lontana qualche parte di se stesso», come sospetta il Maddalena, non si può affermare, perchè l’infaticabile commediografo fu colpito dalla nevrastenia o, come si diceva, dai vapori, nella primavera di quell’anno a Bologna (v. pref. all’Impostore, ed. Paperini, t. VII); tuttavia la coincidenza fa pensare a un presentimento. Un malato da melodramma, non però in tutto immaginario, abbiamo già incontrato nel Giuocatore (vol. V), il vecchio Pancrazio: vedremo in seguito un tipo più fine, mons. Gulden, nel Medico olandese.

Con l’oblio in cui giacque anche più tardi questa commedia, i posteri confermarono il giudizio sommario già dato dai contemporanei del Goldoni, il quale non si sa che la facesse recitare altrove. Pubblico, attori e critici la disprezzarono ugualmente. Il Landau ai dì nostri accusò di scarsa moralità Pantalone, perchè mentre risarcisce Martino degli zecchini che calavano, lo fa bastonare (Geschichte der italienischen Litteratur im 18 Jahrhundert, Berlin, 1899, p. 423); ma convien piuttosto credere che Martino calunniasse Pantalone, e che il vecchio cortesan lo compensasse non degli zecchini, bensì delle bastonate, umiliandolo anche più moralmente. Schmidbauer osservò come non riesca a Clarice il gioco di Mirandolina, d’innamorare l’astuto Pantalone (1. c., p. 76); e giudicò disegnato secondo natura, senza troppa esagerazione, il carattere di Celio (pp. 84-85). Più coraggiosamente il Maddalena osò dire che il Vecchio bizzarro «a parti è ancora un buon lavoro» (Giuoco ecc., p. 19). E infatti, a malgrado delle scorie lasciatevi dal tempo (si aggiungano a tutto il resto i pugnali, le spade, i bravi ecc.), vi si ritrova dell’abilità, ma la creazione manca: serve, insieme con altre moltissime commedie oggi dimenticate, a formare quella colossale base del monumento di Carlo Goldoni, su cui si innalzano i veri capolavori, ai quali soli è affidata la fama e la gloria del Veneziano.

Giovanni Bonfadini, a cui fu dedicata la commedia, n. 7 luglio 1724 e m. in Padova 10 luglio 1809, senatore ai 12 marzo 1761 (poco dopo l’improvvisa morte del padre Francesco, 25 sett. 1760: v. Notatorj del Gradenigo), era figlio primogenito di Andriana Dolfin, prima protettrice del futuro Dottor