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502 | ATTO TERZO |
SCENA ULTIMA.
Ottavio e detti.
Ottavio. Che novità è questa? È vero quel che mi ha detto la signora Clarice? Il signor Pantalone sposerà la signora Flamminia?
Pantalone. Pol esser che Pantalon la sposa.
Ottavio. Se ciò fosse, egli mi averebbe fatto una mal’azione.
Pantalone. Pantalon no xe capace de far male azion. Co siora Flamminia no vol sior Ottavio, sior Ottavio no la pol obbligar. Son galantomo; e che sia la verità, la pensa meggio a quel che xe passà tra de nu. Sto anello, co la lo vol, xe sempre a so requisizion.
Ottavio. (Ho capito; merito peggio; mi rimprovera con ragione). (da sè) Fiorindo, se nulla vi occorre da Livorno, partirò domani.
Florindo. Buon viaggio a voi.
Ottavio. Riverisco lor signori. (parte)
Pantalone. (Anca questa la xe giustada). (da sè)
Florindo. Dunque, signor Pantalone, siete disposto a prendere mia sorella?
Pantalone. Basta ch’ella sia disposta a tor un omo della mia età.
Flamminia. Son contentissima. Eccovi in testimonio la mano.
Pantalone. La chiappo in parola. Una donna della so prudenza e della so bona condotta no el xe partìo da lassar. (E diese mile ducati no i xe una sassada). (da sè)
Celio. Ah signor Pantalone, giacchè mia nipote è una pazza, voglio venire a stare con voi. Prendetemi in casa vostra per carità.
Pantalone. E vostra nezza?
Celio. Finchè si mariti, la metterò in ritiro.
Pantalone. Volentiera. A sto patto sè paron de casa mia. Con mi no gh’averè flati, no gh’averè rane. Staremo allegramente, e con direzion.
Son stà un omo bizzarro in prima età;
Bizzarro me mantegno anca in vecchiezza.