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498 | ATTO TERZO |
SCENA XV.
Flamminia, Florindo e detti.
Flamminia. Ora mi lusingate, caro fratello. Ho motivo di non vi credere.
Florindo. Eppure credetemi, ch’ella è così.
Celio. Caro amico, voi che avete della bontà per me, persuadete voi mia nipote a fare una cosa buona.
Florindo. Che cosa, signore?
Celio. A sposare il signor Pantalone.
Flamminia. Sentite? Non ve l’ho detto?
Florindo. Evvi qualche trattato fra lei ed il signor Pantalone?
Celio. Vi potrebbe essere.
Clarice. Basterebbe ch’io volessi.
Flamminia. Ecco; sentitela. (a Florindo)
Florindo. A me il signor Pantalone si è dichiarato parzialissimo di mia sorella.
Celio. E con me si è mostrato inclinatissimo per mia nipote.
Florindo. Il signor Pantalone si burlerà dell’una e dell’altra.
Clarice. Io non sono una persona di cui la gente si prenda giuoco.
Florindo. Nè mia sorella sarà impunemente schernita.
Celio. La signora Flamminia non è impegnata col signor Ottavio?
Florindo. Col signor Ottavio ogni trattato è sciolto.
Clarice. Ed ella volentieri si mariterebbe in Venezia.
Celio. Non so che dire: giacchè non ha difficoltà dì sposare un uomo avanzato.... posso esibirmi ancor io.
Clarice. Non vi mancherebbe altro, per crepare in tre giorni.
Celio. (Sputa.)
SCENA XVI.
Pantalone e detti.
Pantalone. Con buona grazia, son qua. I m’ha dito che sior Celio me cerca. Patroni reveriti.
Celio. Sì, caro amico. Sono io che vi cerca, perchè ho bisogno di voi.