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IL VECCHIO BIZZARRO 495

Pantalone. Gnente, compare, el scarso dei zecchini.

Martino. A mi, cospettonazzo?

Pantalone. Via, sangue e tacca. (mette mano)

Martino. Sior Pantalon, bona sera sioria.

Pantalone. Schiavo, compare.

Martino. No credeva mai, che me fessi sto affronto.

Pantalone. Quanto giereli scarsi i zecchini?

Martino. Via, no parlemo altro.

Pantalone. Voi saver quanto che i giera scarsi.

Martino. Quattordese grani.

Pantalone. Sie fia quattordese ottantaquattro. Tolè sto mezzo felippo, che me dare el resto doman.

Martino. Eh, n’importa.

Pantalone. Tolèlo, che voggio che lo tolè.

Martino. Lo togo.

Pantalone. Semo del pari. Mi ho paga el mio debito, e vu avè paga el vostro. Zitto, gnente fu, gnente sia.

Martino. Grazie de tutto, sior Pantalon.

Pantalone. Sè paron de mi, compare Martin. A revéderse; e co volè qualcossa da mi, comandeme. (parte)

Martino. Manco mal che xe de notte. Nissun saverà gnente. (parte)

SCENA XII.

Camera in casa di Celio.

Celio e Traccagnino.

Traccagnino. Sior patron, la me favorissa el ducato.

Celio. Tieni, te lo dono, ma non lo meriti. Che razza di medico è colui? Borbotta che non s’intende; non ha detto nulla, e mi ha fatto venire più male di quel che aveva. (sputa)

Traccagnino. E sì l’è un omo de garbo.

Celio. Vammi a ritrovare il signor Pantalone.

Traccagnino. E no la me dise altro?

Celio. Non ti ho da dir altro. Vammi a trovar il signor Pantalone.

Traccagnino. No me par che abbiè dito tutto.