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IL VECCHIO BIZZARRO 491

Ottavio. Con vostra licenza, signora Clarice, vorrei che la signora Flamminia mi spiegasse con un poco più di chiarezza il motivo della sua novella avversione all’affetto mio.

Clarice. Ma se ve lo dirò io. (ad Ottavio)

Ottavio. Voglio saperlo da lei.

Flamminia. Dispensatemi, signor Ottavio.

Ottavio. Non signora, non posso in ciò dispensarvi. Pretendo che mi abbiate a dire il perchè.

Flamminia. Ve lo dirò un’altra volta.

Ottavio. Ora voglio saperlo. Voglio saperlo ora, per regolarmi anch’io a misura delle vostre ragioni.

Flamminia. Ve lo dirò dunque.

Clarice. Siete buono, se credete ch’ella voglia dirvi la verità. (ad Ottavio)

Ottavio. Questo è quello che anch’io pavento. Voi non mi direte la verità.

Flamminia. Ve la dirò, signore, ve la dirò, perchè mi costringete a doverla dire. E voi stesso giustificatemi presso quella signora che non mi crede; ditele voi, se vi dico il vero. Signor Ottavio, quando vi ho conosciuto a Livorno, parevate un giovane di buon costume. In Venezia tardi ho saputo il modo vostro di vivere. Voi siete un giuocatore vizioso; siete un uomo che si rovina, che cimenta la propria riputazione, che non merita stima, che non esige rispetto, e che da me non può lusingarsi di essere amato. Eccovi la verità: se vi dispiace d’averla intesa, incolpate voi stesso, che mi avete importunato per dirla. Ringraziate la signora Clarice, che mi ha insolentato per pubblicarla. (parte)

Clarice. Che dice il signor Ottavio?

Ottavio. (Venezia non è più paese per me). (da sè, e parte)

Clarice. Non mi risponde nemmeno. Convien dire che Flamminia abbia detto la verità. (parte)