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490 | ATTO TERZO |
Pantalone. Le compatissa, se le lassemo sole.
Ottavio. Se voi mi voleste favorire sopra l’anello...
Pantalone. Le me permetta che vaga in t’un servizietto. Tornerò a riverirle; perchè, sul proposito che gerimo, no son gnancora contento. Voi che vegnimo in chiaro della verità. Son un galantomo....
Ottavio. Se siete un galantuomo, dovete ascoltarmi...
Pantalone. Son un galantomo, e no vôi sentir altro. Patrone. (parte)
Ottavio. Questa è una inciviltà, una indiscretezza, un’impertinenza.
Flamminia. Signor Ottavio, nelle mie camere non vorrei che si alzasse la voce.
Ottavio. Nelle vostre camere non parlerò più, nè alto, nè basso.
Flamminia. Mi farete piacere.
Ottavio. Non so per altro da che provenga il disprezzo, con cui da poco in qua mi trattate.
Clarice. (Ve lo dirò io). (ad Ottavio)
Flamminia. Non oso disprezzarvi; ma intendo di essere nella mia libertà.
Ottavio. Posso sapere almeno il perchè?
Clarice. (Causa il signor Pantalone). (ad Ottavio)
Ottavio. Il signor Pantalone, signora, vi ha parlato di me?
Flamminia. Sì, mi ha parlato con del calore. Mi ha detto cento belle ragioni, perchè si concludessero le nostre nozze.
Clarice. (Non le credete). (ad Ottavio)
Ottavio. E voi, signora, che cosa avete in contrario?
Flamminia. Per ora non ho piacere di legarmi.
Ottavio. Non dicevate così pochi giorni sono.
Flamminia. Non lo sapete, signore? Noi donne siamo volubili.
Clarice. Piano, signora Flamminia, che se lo siete voi, non lo sono tutte.
Flamminia. È vero: voi non siete di questo numero.
Clarice. Io mi picco d’essere una donna costante.
Flamminia. Costantissima ne! burlarvi sempre di tutti.
Clarice. Come potete dirlo?...