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488 ATTO TERZO

Flamminia. La burla va bene fino ad un certo segno, (a Clarice)

Clarice. Molte volte si dicono delle cose per iscoprire l’altrui’intenzione.

Flamminia. In ogni maniera il fingere non è cosa buona.

Clarice. Si vedono i difetti altrui, e non si conoscono i propri.

Pantalone. Comandela? (a Flamminia)

Flamminia. Dispensatemi, signore. (ricusa)

Pantalone. Comandela? (a Clarice)

Clarice. Sto bene così. (ricusa)

Pantalone. Lo magnerò mi.

Flamminia. Io sono una donna che parla chiaro.

Clarice. Ed io sono una che non parla torbido.

Pantalone. El rosegotto1 no la lo vorrà. (a Flamminia)

Flamminia. (Che femmina ardita!) (da sè)

Pantalone. Gnanca ela. (a Clarice)

Clarice. Sì, signore, io lo prenderò, (lo prende di mano a Pantalone)

Pantalone. Brava. Da mi no se pol sperar altro che rosegotti.

Flamminia. Ho inteso, signori miei. Accomodatevi meglio senza di me.

Pantalone. Eh via, me maraveggio. Cossa voi dir? Se scaldele; se vorle dar per le mie maledette bellezze? A monte, patrone, a monte ste cargadure2. Se cognossemo. So che le me burla. Son vecchio, ma no son da brusar. E se le me tol per un rosegotto de fatto, le sappia che gh’ho ancora polpa, sugo e sostanza; che son mauro, ma no son marzo; e che se no son un pero botirro da prima stagion, son un pero da inverno ben conservà, che no gh’ha invidia d’una nespola dalla corona.

Flamminia. Signore, se voi parlate di me, sappiate...

Clarice. Io non so fingere, signore.

  1. Torsolo.
  2. Caricature, affettazioni.