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IL VECCHIO BIZZARRO 465


dello da Bergamo, che l’è el più bravo medico de sto mondo. L’ha qualche piccolo difetto, ma l’è un omo grando. Se la lo vol provar, l’è in tela mia camera, lo farò vegnir.

Celio. Sì, sì, fallo venire. Lo proverò.

Traccagnino. Ma ghe darala el zecchin?

Celio. Glielo darò.

Traccagnino. E a mi el ducato?

Celio. E il ducato a te.

Traccagnino. Vago subito a farlo vegnir. (Se la va ben, chiappo trenta lire; se la va mal, non perdo gnente). (da sè, e parte)

Celio. Qualche volta questi medici di montagna ne sanno più dei medici di città. Hanno la cognizione dell’erbe, delle pietre; medicano per esperienza, e la fallano poche volte. Oh, stavo tanto bene, ed è venuta mia nipote a farmi tornare il mio male.

SCENA VIII.

Argentina e Celio.

Argentina. (Bravo Traccagnino. Vuò godere la scena; lo seconderò bene per buscarmi il mezzo ducato). (da sè)

Celio. Argentina, dammi una sedia.

Argentina. Signor padrone, avete una gran brutta cera.

Celio. Ho brutta cera eh? Povero me! te ne intendi di polso?

Argentina. Qualche cosa.

Celio. Senti.

Argentina. Poverino! vi è del male.

Celio. Son morto.

Argentina. Vi vorrebbe un medico.

Celio. Ora l’aspetto. Mi dice Traccagnino, ch’è venuto un suo fratello.

Argentina. È verissimo. Un uomo di garbo. Ha fatto in pochi giorni cure grandissime. È brutto come Traccagnino. Gli somiglia affatto nel viso, se non che è un poco zoppo, ed ha qualche difetto di lingua. Per altro, quanto Traccagnino è sciocco, altrettanto suo fratello è dotto, spiritoso e valente.