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464 ATTO SECONDO

Clarice. (Non son sì pazza a sposare un vecchio; ma s’egli s’innamorasse di me, sarebbe il più bel divertimento del mondo), (da sè)

Celio. Nipote mia, gliene parlerò.

Clarice. Ma fatelo presto.

Celio. Avete così gran fretta?

Clarice. Non saprei... gli anni passano. Vorrei essere collocata prima che voi moriste.

Celio. (Sputa.)

Clarice. Siamo tutti mortali. Potreste mancare da un giorno all’altro.

Celio. (Sputa) Avete altro da dire? (in collera)

Clarice. Se anderete in collera, vi verrà un accidente. (parte)

Celio. (Sputa) Oimè! la bile è la mia rovina. M’accendo il sangue. Mi riscaldo il fegato. Subito mi si altera il polso. Eccolo qui. Batte come un martello. Sbalza. E irregolare. Povero me! Chi è di là? Vi è nessuno?

SCENA VII.

Traccagnino e Celio.

Traccagnino. Chi chiama?

Celio. Presto un medico per carità.

Traccagnino. A sta ora dove l’oi da trovar?

Celio. Cercalo subito. Va per le spezierie. Presto, che mi sento morire. (sputa)

Traccagnino. Lasserò ordine alla spezieria, che i lo manda col vien.

Celio. No, ho bisogno adesso.

Traccagnino. Adesso no lo troverò.

Celio. Cercalo; se lo trovi, ti do un ducato di buona mano.

Traccagnino. (Se podesse chiappar sto ducato!) (da sè)

Celio. Ma non perder tempo. Se trovi un medico, digli che venga subito; e se viene subito, gli do un zecchino.

Traccagnino. (Se podesse chiappar anca sto zecchin!) (da sè)

Celio. Presto, ti dico; ogni momento può essere per me fatale. (si tocca il polso)

Traccagnino. Ghe dirò, sior. E vegnù a Venezia un mio fra-