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IL VECCHIO BIZZARRO | 459 |
SCENA IV.
Ottavio e Pantalone.
Ottavio. (Ora è il tempo di chiedergli li cinquanta zecchini). (da sè)
Pantalone. Anca questa l’avemo giustada
Ottavio. Ecco qui; in oggi non si può sperare d’avere un piacere da un parente, da un patriotto.
Pantalone. No parlemo più del passà. La xe giustada, e giustada sia.
Ottavio. Un amico del vostro cuore non si trova sì facilmente.
Pantalone. Co posso, fazzo servizio volentieri; e co se tratta de far una pase, mi vago a nozze.
Ottavio. Vi sono obbligato dell’altro favore che fatto mi avete.
Pantalone. De che? Dei quaranta ducati d’arzento? L’ho fatto per la vostra reputazion, e anca per la mia. El vostro anello el xe in tele mie man; el xe seguro; ma senza vostro incomodo, co poderè, per mi no ve stè a travaggiar.
Ottavio. Spero che quanto prima mi verrà una rimessa di Livorno. Intanto, per dirla, aveva bisogno d’un altro po’ di denaro.
Pantalone. (Ho inteso). (da sè) Come va la vostra lite?
Ottavio. Anche questa mi affligge; e ogni giorno ci vogliono de’ denari.
Pantalone. Ghe vol pazienza. Le liti xe tormentose. Mi per altro non ho mai litigà co nissun. Se ho avù d’aver, m’ho fatto pagar; e a Palazzo non ho mai speso un soldo.
Ottavio. Caro signor Pantalone, vorrei...
Pantalone. Se tratta de assae in sta vostra lite?
Ottavio. Si tratta di dodicimila scudi, e spero di guadagnarla. Però trovandomi ora in bisogno...
Pantalone. Xe un pezzo che sè a Venezia?
Ottavio. Pur troppo, e mi costa un tesoro; però trovandomi ora in bisogno...
Pantalone. L’amicizia della siora Flamminia l’aveu fatta qua, o a Livorno?