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42 | ATTO PRIMO |
Aspasia. Se li averanno portati, ci saranno.
Onofrio. Sicuramente. Ma non mi ricordo se li abbiano portati. Aspettate... è venuto ier di sera... No, non è venuto il sensale. Era... chi diavolo era quello che è venuto ier di sera?
Aspasia. Io ho veduto il signor Pantalone.
Onofrio. Ah sì, il signor Pantalone. Mi pare che egli mi abbia portati li mille scudi.
Luigi. (Il fortunato posseditore di donna Eufemia). (da sè) È vostro amico il signor Pantalone?
Onofrio. Oh sì, è mio amico. Il mio grano quasi tutto lo vendo a lui. Mi paga subito, ed io glielo do a buon prezzo.
Aspasia. Signor consorte carissimo, vorrei pregarvi d’una finezza.
Onofrio. Comandate, cara consorte: voi sapete che non vi nego mai cosa alcuna. Ella è così, signor cognato, mia moglie non può dire ch’io l’abbia mai scontentata in niente. Saranno... che so io?... tre anni che siamo insieme, e sempre...
Aspasia. Tre anni? Oh, sono ben sei.
Onofrio. Basta; a me par l’altro giorno.
Aspasia. Vorrei che mi prestaste cento scudi. Me li darete?
Onofrio. Ve li darò... ma...
Aspasia. Che cosa?
Onofrio. Non mi ricordo bene se io li abbia.
Aspasia. Datemi le chiavi dello scrigno, che guarderò io.
Onofrio. Oh no, cara, le chiavi non le do mai. Siccome ho poca memoria, le tengo sempre attaccate alla cintola de’ calzoni.
Aspasia. Andate dunque a vedere; e se ci sono, portatemi li cento scudi.
Onofrio. Cento scudi! Vado subito; e poi beveremo la cioccolata. (parte)
SCENA IV.
Donna Aspasia, don Luigi, e poi don Onofrio.
Luigi. Ah, se mi dà questi cento scudi, mi dà la vita. Non passeranno però otto giorni, ch’io glieli renderò.
Aspasia. Come pensate di volerli impiegare?