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38 | ATTO PRIMO |
SCENA II.
Don Luigi e poi donna Aspasia.
Luigi. Il diavolo che ti porti: non farò niente? Se Pantalone è geloso, non mancano mezzi per deludere le sue cautele. S’egli è avaro, molto meglio per me. L’oro, pascolando la sua avarizia, vincerà i stimoli della gelosia. Sia pure onestissima donna Eufemia; nulla pretendo da lei, che possa offendere la sua modestia: bramo solo un’amichevole corrispondenza, e questa tanto meno saprà negarmela, quanto più le si rende odioso il marito. E tu dici non farò niente? Se torni a dirlo, ti spezzo il capo, come spezzata ho quella lettera. Ma! l’ho stracciata senza sapere cosa contenga; la collera mi ha acciecato. La leggerò alla meglio. (la prende da terra) I pezzi si possono unire insieme. Oh diamine! cosa vedo? L’ordine per le cento doppie che aspettava con tanta ansietà: eccolo fatto in pezzi. E mi si dovean pagar subito; e questo era il più valido fondamento per guadagnare il signor Pantalone. Un buon regalo me lo potrebbe rendere amico. Ed ora come farò? non ho denari. Se torno a scrivere, ci vuol tempo. Fortuna indegna, tu mi perseguiti, tu mi vuoi morto.
Aspasia. Che cosa avete, signor fratello?
Luigi. Sorella mia, son disperato.
Aspasia. Disperato? Perchè?.
Luigi. Per queste due bagattelle: sono innamorato, e non ho denari.
Aspasia. Per quel ch’io sento, la vostra amante è una di quelle che fanno mercanzia della loro grazia.
Luigi. No, v’ingannate. Ella è una onestissima moglie.
Aspasia. Moglie? Siete pazzo andarvi a incapricciare con una femmina maritata?
Luigi. Pazzo! A incapricciarmi di una femmina maritata son pazzo? Signora sorella, voi avete marito.
Aspasia. Bene, e per questo?
Luigi. E per questo, nessuno vi serve, nessuno vi vede volentieri?
Aspasia. Chi sente voi, pare ch’io abbia un sortimento di cicisbei.