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Settecento (Fagiuoli, Nelli, Gorini Corio ecc.), ripete in parte il personaggio alquanto manierato dell’olandese Rainmere nei Mercatanti, tipo del novello mercante che il Goldoni amava e forse proponeva per modello ai propri concittadini.

Fino a qual punto la filosofìa di Jacobbe Monduill possa dirsi la filosofia dell’autore ci sembra vano esaminare; certo anche qualche critico del 1754 trovò certe volte troppo umile il filosofo inglese di fronte alla insana prepotenza di Milord. — E lascio altre considerazioni, per segnare ancora due luoghi della commedia: l’allusione ai clienti che non pagano i negozianti (V, 1), costume non infrequente de’ nobili barnaboti' ' a Venezia; e gli sfoghi dell’autore contro gli anonimi scrittori di satire, che proprio dopo la recita della presente commedia stavano per moltiplicarsi nella sua patria.

La scarsa vitalità e l’effimera fortuna di questo componimento ci vengono confermate dall’abbandono in cui cadde. Appena abbiamo notizia di una recita a Modena nel 1760; e il vecchio Bartoli ricorda che ai suoi tempi vi si distingueva l’attore Alberto Ugolini. Non sappiamo che nell’Ottocento se ne tentasse l’esumazione: nemmeno si ritrova nelle copiose Scelte di commedie goldoniane. Soltanto lo Schedoni se ne contentò, in grazia della morale (Principi morali ecc. Modena, 1828, pp. 38-9), benchè vi scorgesse «qualche scherzo, che disonora la Commedia». «Nè filosofo, nè inglese» parve al Ciampi (Vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 40) e al Nocchi (pref. in testa alle Comm. scelte di C. G., Firenze, 1856). Ai di nostri unanime è la condanna (M. Ortiz, La cultura del G., estr. dal Giorn, St., 1896, p. 31; G. Ortolani, 1. c., 74; A. Graf, L’anglomania e l’influsso inglese in Italia nel s. 18o, Torino, 1911, pp. 216-7: «... Questa che è, a mio credere, una delle più insulse e nojose commedie del nostro maggior comico...»). Ma non è vero che il Goldoni spropositi a tal segno, da parlare di canali e gondole a Londra, come vorrebbe il Merz (C. G. in seiner Stellung zum franzósischen Lustspiel, Lipsia, 1903, p. 43).

Il Rabany giudica insipido il filosofo Jacobbe, ma «non senza interesse la commedia per la storia dei costumi» (C. G. etc., Parigi, 18%, p. 350). Il Graf citato vi scopre «ritratti più aspetti sgradevoli della vita e del carattere inglese» (p. 414). Luigi Falchi giustamente osserva (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pp. 51 -3) che per bocca dell’argentiere Bluk e del ciabattino Panich, filosofastri da strapazzo, ma i quali «in fondo, riferiscono la coscienza popolare», si enunciano dal palcoscenico arditissime proposizioni politico-sociali, sebbene l’autore le condanni; e di libera coscienza fa professione lo stesso Jacobbe Monduill.

Importante la lettera di dedica a Giuseppe Smith, che fu per lunghi anni console d’Inghilterra a Venezia, dove arricchì, ricorda il Moschini (Della letteratura venez., Venezia, 1806, t. III, 51), «commerciando non solo di libri, ma eziandio di pitture». Del palazzo ai SS. Apostoli, disegnato da Ant. Visentini, e che passò poi al conte Mangilli e ai conti Valmarana di Vicenza (vedi, p. es., Il fiore di Venezia di Ermolao Paoletti, Ven. 1740, III, 197) si trova la seguente indicazione nei Notatorj inediti del Gradenigo, in data 22 ott. 1751: «Casa fabricata nella contrada di S. Apostoli da Giorgio Smith Mer-