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giudice nella Quarantia, il quale indirizzò al nobiluomo Ferdinando Toderini (n. 1728), partigiano del Goldoni, una critica del Filosofo inglese in versi martelliani. Al Baffo, tutto acceso per la Sposa persiana, e ancora più per il Chiari e i suoi romanzi orientali e occidentali, la commedia non garba perchè nell’azione no ghe xe accidenti e gh’è poco da imparar, e nei caratteri manca la verità: il filosofo si conosce appena e somiglia piuttosto a un precettore; l’amore della vedova si mostra un momento e poi sparisce; e milord? anche milord, incostante nell’amore e nella collera, per quattro parolette s’incanta. I due quaccheri infine, invece che onesti e buoni, sono due furbi, due baroni: si doveva imparare a farne il ritratto da Voltaire, e rappresentare il generale, non il particolare. In conclusione commedia fallita, anzi non commedia ma dissertazione. — Prima del Toderini pare si movesse il Goldoni stesso a difendere l’opera sua: «Vedo per le botteghe, vedo per i casini, — In man dei me nemici, in man dei me aguzzini, — Coi quali alle mie spalle i critici fa chiasso, — Versi d’un bel talento composti per so spasso». Risponde con le rime del Baffo, e si compiace innanzi tutto che il pubblico accorresse alla commedia a squadra a squadra. «Per disisette sere l’ha fatto innamorar — Tanti ecc.»: segno pur questo, dice non ricordandosi del Chiari, «che xe i caratteri piantai con verità». Fin dalle prime parole Jacob si appalesa filosofo vero, e tale serbasi per tutta l’azione. Quanto alla Brindè, ben si sa che «ai occhi delicati più nobile apparisse — Passion che facilmente se sconde e po sparisse». E milord doveva proprio ammazzare Jacob disarmato, e non cedere piuttosto a un rinsavimento? I quaccheri anche a Londra furono derisi a teatro, e Voltaire ne parla, come suole, ironicamente: del resto trattandosi di personaggi secondari, non sembra errore discendere al particolare. — Alle due accuse maggiori, cioè contro il carattere di milord Wambert e contro i quaccheri, l’autore rispose anche più tardi quando stampò la commedia (1757), nella lettera di dedica e nella prefazione. — La controreplica del Baffo, che incomincia «El Goldoni con grazia se diol che mi abbia scritto ecc.», contiene soltanto l’apologia della Sposa persiana. Ma accanto al Goldoni era sorto in difesa del Fil. ingl. con un’altra epistola veneziana e martelliana il conte Gaspare Gozzi, già noto nella così detta repubblica letteraria ed esperto di cose teatrali; il quale si pose ad ammonire: «Come anderà più avanti el Teatro nascente — Se ai poveri Poeti ghe ficchè adosso el dente?» E rifacendo con benevolenza e pazienza l’esame dei personaggi, approvò e lodò anche dove per il buon gusto sarebbe stato meglio condannare: ma nei ragionamenti diede prova di quel buon senso che non gli fallì più tardi, quando ebbe a giudicare nei fogli dell’Osservatore i Rusteghi e la Casa nova. Egli previde il pericolo d incoraggiare i parti mostruosi dell’abate Chiari, come sentisse avvicinarsi le fiabe e i drammi spagnoleschi del fratello Carlo. (Le tre epistole qui ricordate, tolta la replica del Baffo, stampò nel 1861 G. Berchet, ricavandole dal cod. Cicogna 2395, già 1882, del Museo Correr di Venezia, ma nella trascrizione si permise stranissime licenze: Poesie Veneziane di G. Baffo, C. Gold, e G. Gozzi sulla comm. Il Fil. Ingl. rappresentata l’a. 1754, Ven. — Quella del Gozzi ristampò R. Barbiera, ricopiandola dal Berchet, in Poesie Ven.e scelte e illustre, Firenze, 1886; quella del Gold., dal cod. Cicogna, ci diede lo Spinelli in Fogli sparsi, Milano, 1885). — La risposta del Toderini (a cui