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(v. pref. al Part., 1737), quasi si tratti di un labirinto. E dire che lo storico insigne dei teatri antichi e moderni, Pietro Napoli Signorelli, incolpò il povero Dottor veneziano di essersi fatto imitatore, anzi cattivo imitatore, del Liveri nel Filosofo inglese (Storia critica ecc., Napoli, I 790, VI, 229). Aspettiamo il Campiello e le Baruffe chiozzotte e il Ventaglio (M. Ortiz, La cultura di Gold., estr. dal Giorn. stor., 1906, p. 39); e troveremo ben altro che imitazioni!
Il Fil. ingl., che fu rappresentato nel principio del carnovale 1753-54, segnò uno dei migliori successi di quella stagione turbolentissima e niente felice per l’arte goldoniana: i Veneziani lo applaudirono sedotti dallo scenario che rappresentava i costumi d’oltre Manica, dalla filosofia di moda, dalla satira e da certa apparenza letteraria che si scambiava per poesia. Ma se la novità piacque al pubblico, quest’altro trionfo del teatro di S. Luca, dopo quello della Sposa pers., indispettì i fanatici del Chiari, i quali pare confidassero nella caduta del Goldoni; le ire proruppero, le critiche e le repliche furono affidate a foglietti volanti, in copie manoscritte, e si sparsero per i caffè, per le vie, per le case; due fazioni si formarono armate di argomenti, oppure di contumelie; la città in breve fu piena di polemiche, di insolenze e di grida.
Guerra incruenta del resto, discordie che non degenerarono in risse aperte, passatempi di carnovale, d’un bizzarro carnovale veneziano. Ecco la voce d’un contemporaneo, d’un poeta lirico e tragico in odio alle Muse, il conte Stefano Carli di Capodistria, fratello di Gian Rinaldo. «Qui per le strade, per le piazze, per li caffè, per le case e per li casini d’altro non si sente gracchiare che di commedie»: scriveva da Venezia al march. Gravisi in patria, ai 19 genn. 1754. «Infatti c’è una sanguinosa gara tra S. Angelo e S. Luca; questo per Goldoni e quello per Chiari. Il partito del primo vuol distinguersi per la quantità, quello del secondo per la qualità delle persone. Quelle Goldoniste, e queste Chiariste s’appellano. Io finalmente mi son dichiarato per Chiarista; e ovunque mi truovo, tratto e difendo la mia opinione, sostenuta sempre da quella ragione che il debole mio discernimento può suggerirmi, non già trasportato o dall’odio o dall’amore, come la parte contraria chiaramente lo dimostra. Io sono amico dell’uno e dell’altro Poeta, nè pretendo d’offendere, come certuni fanno, l’amicizia che loro professo, restando sempre le mie censure ne’ limiti della letteratura... Quindici sere sono che si presenta a S. Luca una nuova Commedia intitolata il Filosofo inglese, e a S. Angelo La Pamela maritata [del Chiari]. Grande schiamazzo e rimbombo che si sente per la prima. Io la considero per un solennissimo pasticcio, e le ragioni che da pochi intese adduco per sostenerlo, talmente alterano gli animi avversarj, che alle volte mi sembra d’essere un di que’ infelici topi della Batracomiomachia d’Omero, quando da folto stuolo di ranocchi si vede assalito ed oppresso, nonchè guasto e confuso l’organo dell’udito dal forte loro gracchiare.» (B. Ziliotto, C. G. e l’Istria, in Palvese, I, n. 8, 24 febbr. 1917). La discordia era in seno alle stesse famiglie, se si ricordi l’ammirazione non celata dell’autore delle Monete e della Patria degl’Italiani per il commediografo veneziano, che gli dedicò nel 1754 il Poeta fanatico (v. vol. IV, 529-533 e 625).
Primo ad attizzare le fiamme d’un vasto incendio fu il nobiluomo Giorgio Baffo (1694-1768), maestro di oscenità nella facile musa vernacola e integro