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IL FILOSOFO INGLESE 401
Milord con questa carta vuol dir che mi perdona,

Se colla firma sua mille ghinee mi dona.
Queste accettar non sdegno, queste che in guisa strana
Mi vengono offerite dalla pietade umana.
M. Brindè. Io che farò per voi, anima invitta e forte?
Jacobbe. Basta non mi obblighiate ad esservi consorte.
M. Brindè. Sì, di non esser vostra preso ho il più forte impegno.
Milord, or ch’è un eroe, di tal rispetto è degno;
Ma se di voi, Jacobbe, la mano esser non puote,
Vostro sarà il mio cuore, e vostra la mia dote.
Di quel che sopravanza al mio mantenimento,
A voi di donazione vo’ a fare un istrumento.
Jacobbe. No, madama, fermate. A me non si compete...
M. Brindè. Voglio così, lo voglio, e a me non si ripete.
Gradite un innocente atto dell’amor mio,
Di amor più non si parli; più non ci penso. Addio.
(parte)

SCENA XXI.

Jacobbe Monduill solo.

Dolce Filosofia, mio nume e mio conforto,

Sei tu l’unica stella, che mi ha guidato al porto.
Misero me! Se scosso delle passioni il freno,
Mi fossi abbandonato ai loro moti appieno,
L’ira potea condurmi de’ precipizi al segno;
Questo de’ miei nemici era il più forte impegno.
L’arte di rovinare un uom senza delitto,
E renderlo coi torti ingiustamente afflitto,
E far che i suoi disastri gli tolgan l’intelletto,
E perda per miseria la fede e il buon concetto.
Non così avviene a quelli che, in mezzo alle sventure,
A fronte agli inimici, sono anime sicure.
Trattano gl’insolenti con saggia indifferenza,
In guardia mantenendo l’onore e l’innocenza.