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388 ATTO QUINTO

SCENA IV.

Rosa sulla loggia, e detti.

Rosa.   Chi è che picchia?

Gioacchino.   Ascoltami, sono io.
Rosa. Ora le scale scendo. Vengo, Gioacchino mio.
M. Saixon. Viene? (a Gioacchino)
Gioacchino. Signora sì. (Discende allegramente.
Suppone ch’io la cerchi, e non l’ho neanche in mente).
(da sè. Si accosta alla bottega)
Rosa. Eccomi. Chi mi vuole? Gioacchino, dove sei?
Gioacchino. Da me non sei cercata.
Rosa.   Dunque da chi?
Gioacchino.   Da lei.
(accenna la Saixon, ed entra in bottega)
Rosa. (Affè, se lo sapea, non ci venia per ora). (da sè)
M. Saixon. Io son che la domanda. Favorisca, signora. (ironica)
Rosa. Eccomi! (È pur graziosa!) (si accosta)
M. Saixon.   Siedi vicino a me.
Rosa. Vuol farmi quest’onore? (siede)
M. Saixon.   Sì, perchè altri non c’è.
Rosa. (Miracolo che è sola!) (da sè)
M. Saixon.   Saixon che fa?
Rosa.   Le robbe
Dispone di due stanze, per alloggiar Jacobbe.
M. Saixon. Jacobbe in quella casa?
Rosa.   L’avete pur sentito.
M. Saixon. Ad onta mia?
Rosa.   Sta volta vuol farla da marito.
M. Saixon. Che dici tu, ignorante? Che da marito? Che?
Prenda Jacobbe in casa: l’avrà da far con me.
Rosa. (Che bestia!) (da sè)
M. Saixon.   Cosa dici?
Rosa.   Nulla.