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IL FILOSOFO INGLESE 383

SCENA XVIII.

Milord Wambert ed il suddetto.

Milord. Indegno. (scoprendolo dopo qualche momento)

Jacobbe.   A me, signore? (si alza)
Milord.   A te, lingua mendace.
Jacobbe. Voi mi scandalizzate.
Milord.   Perfido.
Jacobbe.   Ancora?
Milord.   Audace!
Parti di Londra tosto. L’imbarco è preparato;
O al bordo della nave ti fo condur legato.
Jacobbe. Farmi condur legato? La cosa è un poco strana;
Le mercanzie si legano, s’imballano in dogana.
Milord. Anima vil, tu scherzi?
Jacobbe.   Par che voi pur scherziate.
Milord. Non provocarmi, indegno.
Jacobbe.   Perchè vi riscaldate?
Milord. Quel sorriso mendace mi provoca a dispetto.
Jacobbe. M’odiate, m’insultate; io vi amo e vi rispetto.
Milord. Sei traditor.
Jacobbe.   Signore, non è ver; lo protesto...
Milord. Perfido, una mentita? (mette mano alla spada)
Jacobbe.   (Si alza furiosamente, e con intrepidezza, gettando il suo bastone via.
Olà, che ardire è questo?
Mira il ciel, che ti vede. A te con mano ardita,
Barbaro, non si aspetta togliere altrui la vita.
Sai chi ti vedi innanzi? Un uomo, una creatura,
Ch’è del supremo nume miracolo e fattura;
Un uom che, qual tu sei, vive soggetto al cielo,
Che spirito immortale rinchiude in uman velo;
Su cui l’arbitrio solo ha quel che l’ha creato,
E in terra l’hanno i regi, cui tal potere è dato.
Chi sei tu, che presumi di usar meco lo sdegno?