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382 ATTO QUARTO
Milord con più fermezza si chiamerebbe offeso.

L’onor di me, di voi, non anderebbe illeso.
Può ben vostro cognato aver pietà di me;
Ma avvezzo a pensar bene il popolo non è.
Si mormora pur troppo a torto, a discrezione;
Pensate, se vi fosse un’ombra di ragione.
Voi stessa esaminate, no, non vi aduli il cuore,
Quel che per me vi sprona, non è virtude, è amore.
Poc’anzi di attrazione interpetrai la tesi,
Più assai che non diceste, a mio rossore intesi.
Mi onora il vostro affetto, di tanto io non son degno;
Ingrato non rispondo di amore al dolce impegno.
Solo desio, madama, che quanto più mi amate,
Sollecita e gelosa dell’onor mio voi siate.
Entrar fra quelle mura non deggio ad ogni costo;
Prima di porvi il piede, io morirò più tosto.
Deh, non abbiate a sdegno questi miei detti amari,
Amatemi, ma sia l’amor da vostra pari.
M. Brindè. Ah Jacob, lo confesso, per voi, per me arrossisco;
Sdegnate il mio soccorso? Io taccio, e vi obbedisco.
Parto di dolor piena. Non so quel che mi dica.
Ah, vi difenda il cielo, il ciel vi benedica.
(entra in casa piangendo)

SCENA XVII.

Jacobbe Monduill solo.

Misera! compatisco in lei l’amor, la pena;

Mirarla bramerei tranquilla e più serena;
Ma se per me l’affanna barbaro duolo e rio,
Calmisi il di lei cuore, ma non si turbi il mio.
(va a sedere sopra una panca del libraio)
Da me che vorrà mai milord che mi rintraccia?
Perchè sì stranamente l’ira dimostra in faccia?
La carta che io gli offersi, dovea disingannarlo.
Il denar rimandato potea forse irritarlo?