Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/371


IL FILOSOFO INGLESE 361
M. Brindè.   De’ miei fogli, Jacob, si fa tal uso?

(lo leva di mano a Jacobbe)
A voi chi diè licenza di por nelle altrui mani
I sensi del mio cuore, del mio pensier gli arcani?
Milord, un cavaliere saprà che non conviene
Leggere questa carta, che a lui non appartiene.
Milord. (Fa una riverenza a madama, parte senza dir nulla, ed entra nella bottega del libraio.

SCENA XVI.

Jacobbe e Madama di Brindè; poi un garzone del libraio.

Jacobbe. Perdonate, madama.

M. Brindè.   Sì, vi perdono. Intendo.
Il foglio era opportuno; per ciò non vi riprendo.
Vorrei non esser giunta sul punto d’impedirlo;
Ma letto in mia presenza io non dovea soffrirlo.
Jacobbe. Sensi che un cuore onesto dettati ha con saviezza,
Offendere non ponno la sua delicatezza.
Che mai contiene il foglio, che a voi non faccia onore?
Vi scrissi, vi pregai, per grazia e per favore,
Di ritornar da voi per ora dispensarmi,
Che per il comun bene dovevo allontanarmi.
Benigna rispondeste con saggia e franca mano,
Che stima di me avreste, ancorchè da lontano.
Cotali sentimenti non so di meritarli;
Ma la ragion non vedo, ond’abbiasi a celarli.
M. Brindè. Questo non è che io bramo celare agli occhi altrui;
Ma quel che viene appresso, quel che domando a vui.
Jacobbe. Quel che chiedete a me, non è che una questione
Che spiega e che dimostra di Newton l’attrazione.
M. Brindè. È ver che l’attrazione è il general soggetto,
Ma io la riduceva ai semi dell’affetto;
E non vorrei che male la tesi interpretata,
Il mondo mi credesse accesa, innamorata.