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IL FILOSOFO INGLESE 347
Jacobbe. Signor... (si alza)

M. Brindè.   Non l’irritate. (a Jacobbe)
M. Saixon.   È bella sempre più.

SCENA X.

Rosa sulla loggia, e detti.

Rosa. Signore, si dà in tavola, presto venite su.

(alla Brindè e alla Saixon)
M. Saixon. E ben, chi l’ha ordinato?
Rosa.   Monsieur vostro marito.
M. Saixon. Che aspetti.
Rosa.   Non aspetta; è tardi, ed ha appetito, (parte)
Milord. Madama, stranamente con voi mi ho dichiarato;
Ne ha colpa la germana, che ardita ha favellato.
Quel che dovea svelarvi a tempo in altro loco,
Voi l’intendeste adesso così, quasi per gioco;
Ma seriamente appresi da voi con mio rossore,
Che di me non curate il mio sincero amore.
Noto è il disprezzo vostro, mi è nota la cagione;
Non soffre un tale insulto la mia riputazione.
Quel che tacer faceami, era un uman rispetto,
Or che si sa l’arcano, sfogarmi anch’io prometto.
Contro di voi non parlo; con donna io non mi sdegno:
Ma tema il mio potere un perfido, un indegno. (parte)
M. Saixon. (Zitto). (a Lorino)
Lorino.   (Non parlo).
M. Brindè.   Udiste? (a Jacobbe)
Jacobbe.   Madama, a pranzo andate.
M. Brindè. Ah non vorrei, Jacobbe...
Jacobbe.   Per me non dubitate.
Fu il vero e l’innocenza ognor lo scudo mio.
Ite, madama, a pranzo; faccio lo stesso anch’io.
(parte)