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IL FILOSOFO INGLESE | 329 |
Di prenderle, storpiarsi, credendole all’usanza.
Ah, ah, la vedovella col satrapo di Atene!
Non voglio esser veduto, andarmene conviene.
Colui di me si ride, sostien ch’io non so nulla;
Ma affè, la faccio bella, se il capo un dì mi frulla;
La lesina adoprando, se altra ragion non vale,
Gli fo toccar con mano, che la natura è frale;
Che piccola puntura, che piccola ferita
Ad un filosofone può togliere la vita.
Vuò ritirarmi intanto a leggere i foglietti,
Oggi più non lavoro, e chi ha ordinato, aspetti.
(entra nella bottega del caffè, e s’interna)
SCENA XIV.
Jacobbe Monduill e Madama Brindè.
Senza che il vostro piede si avesse incomodato:
Esser certa potete che ogni momento, ogni ora,
Madama di Brindè fia di Jacob signora.
M. Brindè. Con voi già lo sapete se io parlo volentieri:
Starei, se lo potessi, con voi de’ giorni intieri;
Ma temo che il distorvi da vostri studi gravi,
Saggio, discreto amico, vi scomodi e vi aggravi.
Non vi credea stamane ancor quivi arrivato,
Ed era al vostro studio il passo mio addrizzato.
Jacobbe. Che avete a comandarmi?
M. Brindè. Un dubbio mi frastorna:
Il calcolo del sole di Newton non mi torna;
In quello di Cartesio vi trovo più ragione:
Vorrei che mi dicesse Jacob la sua opinione.
Jacobbe. Madama, voi sapete che tutti a braccia aperte
Hanno approvato in Londra di Newton le scoperte;