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del mio ossequio e della mia gratitudine1. Ora dunque dovrei parlare soltanto dell’Eccell. Vostra, ma nell’età giovanile in cui tuttavia si ritrova, non potrei che additare i semi di quelle Virtù, che luminose un giorno risplenderanno a pro della Patria e del suo glorioso Casato.
Vedesi in Lei accoppiato all’avvenenza della persona il brio dello spirito; e la dolcezza de’ suoi costumi, e la chiarezza della sua mente presagiscono in Lei ai gradi eminenti della Repubblica un degno erede de’ suoi gloriosi antenati. Ma questo rispettoso mio foglio non ha da essere un panegirico alle di Lei Virtù, che io atto non sono per sì grand’opera, e male collocato vedrebbesi fra le Commedie. Mia intenzione è soltanto manifestare per questa via il mio sincero giubbilo, per l’onore onde vengono le mie fatiche illustrate. Sono oramai quattr’anni2 ch’io scrivo per il Teatro rinomatissimo de’ Vendramini, e spero di continuar fin ch’io viva, o almeno fin che avrò lena per scrivere. Il nuovo mio Reale Padrone lasciami in libertà di poterlo fare, e tanto più volentieri lo faccio, quanto veggo le opere mie dalla comica compagnia valorosamente eseguite.
Il Teatro de’ Vendramini sempre fu rispettabile e accreditato, ma ora più che mai può vantarsi di essere di egregi attori fornito, capaci di ogni più difficile Rappresentazione, Tragica sia, o sia Comica, trovando in essi partitamente l’abilità di rappresentare i caratteri più originali del mondo. Non ho riguardo di replicare in pubblico una proposizione detta da me sinceramente in privato: Se le mie Commedie recitate da una tal compagnia non incontreranno, non sarà per difetto dei Comici, ma di me soltanto. Sono parecchi anni ch’io mi struggo in un tal mestiere, ed è eccedente il numero delle cose fatte da me sinora, e però il mondo ha da aspettare di quando in quando dei frutti secchi. Le piante ancora, dopo un abbondante prodotto de’ loro frutti, in qualche anno si mostrano meno feconde, e il Giardiniera le soffre, colla speranza di rivederle più fertili nell’avvenire. Chi mai cre-