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262 ATTO SECONDO

Brighella. Ah, lu mo, per esser buffon, el ghe dis eccellenza.

Ottavio. Io m’arrabbiai stamane che non aveva voglia di scioccherie, e lo voleva caricare di bastonate. Mi sono venuti intorno, mi si sono buttati a piedi i miei camerieri, i miei segretari, i computisti: Eccellenza, si fermi; Eccellenza, gli perdoni; Eccellenza, lo compatisca. Basta, gli ho perdonato.

Brighella. (Adesso capisso. Altro che umiltà! Fumo tanto che fa paura). (da sè) Cara Eccellenza, ghe domando umilmente perdon se avesse manca al mio dover... No saveva...

Ottavio. Che avete? Perchè mi domandate scusa? Forse per non avermi dato dell’eccellenza? Che importano a me queste freddure? Io non faccio pompa di questi titoli; non li curo, non me n’importa. Sono vanità, ostentazioni. Parlate, parlate con libertà.

Brighella. Me rallegro, torno a dir, che vostra Eccellenza stia a pranzo da sior Pantalon.

Ottavio. Eh! non ho potuto dirgli di no.

Brighella. Mi per altro la sappia che ho fatto pulito con Argentina, e ela, per farme servizio a mi, l’ha persuaso el patron. No so se vostra Eccellenza me capissa.

Ottavio. Basta: il signor Pantalone mi ha invitato. Non ci voleva restare. Ma sono tanto disgraziato, che avrebbero detto ch’io non ci voglio restar per superbia.

Brighella. Donca la xe restada per far servizio a sior Pantalon?

Ottavio. Poteva far a meno per il padre di una persona ch’io amo?

Brighella. E mi non averò nissun merito d’averla servida?.

Ottavio. Vi son grato. Se vi occorre, comandate.

Brighella. Me dala licenza che ghe diga una barzelletta, Eccellenza?

Ottavio. Sì, dite: divertitemi.

Brighella. La devertirò donca. Me recordo, la perdoni, che l’ha avudo la bontà de dir che, se la restava qua a disnar, la voleva impiegar una certa doppia.

Ottavio. Pagare il pranzo al signor Pantalone? Sarebbe un’azione indegnissima.