Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, X.djvu/268

260 ATTO SECONDO

Argentina. Chi gliel’ha detto che resti?

Pantalone. Ghe l’ho dito mi; ma savè come.

Argentina. Dopo avergli detto che resti, che el vaga via? Che cosa dice la signora Clarice?

Clarice. Io non dico che vada via; dico bene che vi ha da restare il signor Fiorindo.

Argentina. Oh, in questo poi la signora Clarice ha ragione.

Pantalone. La gh’ha rason?

Argentina. Sicuramente; ha ragione.

Pantalone. Vardè per la villa se ghe xe altri che voggia vegnir da mi.

Argentina. Sì signore, vi è qualcun altro.

Pantalone. Chi, cara vu?

Argentina. Il servitore del signor Ottavio.

Pantalone. Anca el servitor ha da magnar da mi? Mo perchè? mo per cossa? Chi lo ordena, chi lo dise?

Argentina. Argentina.

Clarice. Ecco chi comanda: Argentina.

Argentina. Signora sì; questa volta faccio io. Non comando, ma persuado, convinco e faccio io; e che sia la verità, il signor padrone riceverà a pranzo con lui anche il signor Fiorindo, e non può fare a meno di farlo. Eccone la ragione. Qualcheduno dirà, se dà da pranzo al signor Ottavio, che lo fa per qualche secondo fine; così invitando anche l’altro, si dirà che fa un trattamento agli amici. Oltre di ciò il signor Florindo, sebbene è uomo selvatico, in questa occasione se ne avrebbe a male, se non fosse invitato. Il signor padrone, con un poco di minestra di più, soddisfa a tutte le convenienze, a tutti gl’impegni: salva il decoro, la politica, l’interesse. Soddisfa le figliuole e si fa un onore immortale. Ah? Che ne dite? (a Pantalone)

Pantalone. Veramente sta volta me par che abbiè dito ben. Siora sì; sarè contenta. Sior Fiorindo vegnirà a disnar con nu. (a Clarice)

Clarice. Ora non voglio che ci venga più.

Pantalone. No? Per cossa?