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254 | ATTO SECONDO |
Ottavio. Bene.
Pantalone. Che me consolo che la merita una gran fortuna.
Ottavio. Innanzi.
Pantalone. Che la me fa un onor a domandarmela per muggier.
Ottavio. E poi.
Pantalone. E po, che no ghe la voggio dar.
Ottavio. Eh, ride il signor Pantalone; ride, scherza, si diverte. In campagna vi vuol brio, vi vogliono lepidezze. Bravo galantuomo. Bravo vecchietto allegro. Mi piacete assaissimo. Quando sarò vostro genero, fra voi e me saremo il divertimento di tutto Mestre.
Pantalone. La farà ela da buffon, e no mi.
Ottavio. Bravissimo, ecco un altro frizzo brillante. La signora Flaminia...
Pantalone. La signora Flaminia, che la vaga via de qua subito. (Flaminia vuol partire)
Ottavio. Eh no, signore...
Pantalone. Eh sì, patron. Anemo, digo: andè in casa. (a Flaminia)
Flaminia. (Parte senza dir niente.)
SCENA III.
Ottavio e Pantalone.
Ottavio. Ma signora mia... (vuol seguitar Flaminia)
Pantalone. Con grazia, patron. (lo tira indietro)
Ottavio. A me?
Pantalone. A vu, sior, e se sè matto, andeve a far ligar.
Ottavio. Il rispetto che ho per un suocero, mi fa tacere.
Pantalone. Mi no so nè de socero, nè de socera. Andè a socerar in t’un altro liogo.
Ottavio. Signor Pantalone, voi non mi conoscete.
Pantalone. Come sarave a dir?
Ottavio. Ecco qui chi potrà dirvi chi sono. Ecco Argentina: domandatelo a lei.