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252 ATTO SECONDO


Ottavio. Perchè non mi sono posto nell’impegno di farli. Per altro... vi dirò solo questa. Un marito il più geloso del mondo, persuaso dalle mie parole, mi ha lasciato libero il campo, e ha disarmato tutte le trincere che custodivano la di lui moglie.

Flaminia. Bravo, signor Ottavio, vi dilettate di servir dama.

Ottavio. L’ho fatto per un semplice impegno. Per altro ne ho lasciato sospirar più di trenta, senza ch’io mi degnassi di rimirarle nemmeno.

Flaminia. Questa me la volete dare ad intendere.

Ottavio. No certamente. Io non fo per vantarmi. Sono uno che delle avventure non ne fo caso, e del mio merito non parlo mai.

Flaminia. Per altro questo vostro merito lo conoscete.

Ottavio. Io? sono anzi il maggior nemico di me medesimo. Ho di me una bassissima stima; mi considero l’uomo più immeritevole della terra. Ma... non saprei... a forza di esaltarmi, le persone mi mettono in qualche orgasmo. Chi loda la mia avvenenza, chi la mia umiltà, chi il modo mio di procedere. Chi parla de’ miei natali, chi de’ miei fondi, chi della mia condotta: m’empiono l’orecchie di lodi. In verità, credetemi... sono mortificato.

Flaminia. (Come si colorano i propri difetti! Lo conosco, e pure lo amo). (da se)

Ottavio. Scommetto, che se un’altra volta parlo al signor Pantalone, l’incanto.

Flaminia. Lo voglia il cielo... Eccolo in verità. Lasciate ch’io me ne vada.

Ottavio. No, fermatevi; ho piacere che siate presente alla conquista ch’io son per fare del di lui animo

SCENA II.

Pantalone e detti.

Pantalone. Cossa feu qua, siora? (a Flaminia)

Flaminia. Niente, signore...

Pantalone. Andò via; andè in casa.