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240 ATTO PRIMO

Ottavio. Buono.

Brighella. Un rosto de vedèlo o de oseletti.

Ottavio. Ottimamente.

Brighella. Un piatto de mezzo, che voi dir o un stufadin, o quattro polpette e cosse simili, el so formaggio, i so frutti.

Ottavio. Una cosa che va benissimo. Dite al vostro padrone che assolutamente voglio essere a pranzo con lui.

Brighella. Ma no gh’è torte, no gh’è pastizzi, no gh’è salvadego.

Ottavio. Non importa. In un altro genere questo trattamento mi piace.

Brighella. Ella è avvezza a spender una doppia al zorno.

Ottavio. La doppia che dovrei spendere all’osteria, la regalerò a voi. Fatemi restare a pranzo col vostro padrone.

Brighella. La me vol donar una doppia?

Ottavio. Sì, ve la prometto.

Brighella. No sarà per el desinar; sarà per qualcoss’altro.

Ottavio. Per che vorreste dire che fosse?

Brighella. Son omo del mondo, sala, lustrissimo.

Ottavio. Bravo; con questi uomini mi piace assaissimo aver che fare. Se mai il signor Pantalone vi licenziasse, fate capitale di me.

Brighella. Ghe n’ala bisogno de servitori?

Ottavio. Non ne ho bisogno: ne ho quattordici; ma quando mi capita un uomo di garbo, lo prendo per soprannumerario.

Brighella. E cossa dala de salario, se è lecito?

Ottavio. Tutto quel che vogliono. Due doppie per il salario; sei zecchini per la panatica. Livrea, piccolo vestiario, gli spogli del mio guardarobe. Mancie ogni mese, ricognizioni quando servono bene, e gli avanzi della mia tavola, che qualche giorno costa cento zecchini.

Brighella. (Oimei, troppa roba!) (da se)

Ottavio. Giacchè dunque avete capito, operate per me. Mi preme restare: non per la tavola, che non serve nemmeno per i miei servitori, ma per qualche altro fine; già mi capite. Portatevi bene con me, ch’io tratterò bene da mio pari con voi.