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LA CAMERIERA BRILLANTE | 237 |
Pantalone. Mo ghe digo che no gh’ho letti.
Ottavio. Non importa di letti. La notte si giuoca, si sta in conversazione. Per una notte non si patisce.
Pantalone. In casa mia a ventiquattr’ore se serra le porte.
Ottavio. Signore, per quel che sento, voi non mi volete in casa vostra.
Pantalone. Cara ela, ghe sarà tanti a Mestre che gh’averà ambizion de recever in casa un soggetto della so qualità. Mi son un poveromo. No gh’ho da trattarla come la merita.
Ottavio. A me piace in campagna la libertà, la confidenza; non mi curo di queste grandezze. Quando voglio stare con magnificenza, vado nei miei palazzi, nelle mie ville. Mi diverto coi miei giardini, colle mie fontane, colle mie caccie riservate; non mi fanno specie queste freddure che voi mi vantate; amo piuttosto questa vostra semplicità. Qualche volta mi trattengo assaissimo volentieri con i miei pastori, con i miei villani.
Pantalone. M’ala tolto per un pastor? per un villan?
Ottavio. Ah no, amico, di voi fo quella stima che meritate.
Pantalone. Vorla che ghe la diga in bon lenguazo, da bon venezian? La compatissa; ma qua no ghe xe logo per ela.
Ottavio. Signor Pantalone, voi non mi conoscete.
Pantalone. Mi zente della so sfera no ghe ne cognosso e no ghe ne vôi cognosser.
Ottavio. Io sono uno che vi stima e che vi ama.
Pantalone. Grazie infinite, patron.
Ottavio. E che sia la verità... Argentina v’ha detto nulla?
Pantalone. La m’ha dito ch’ela la se voleva incomodar de vegnirme a onorar.
Ottavio. E non v’ha detto niente di più?
Pantalone. No la m’ha dito altro.
Ottavio. Bene: ho da parlarvi di qualche cosa che preme.
Pantalone. La parla. Son qua per sentir.
Ottavio. No, caro amico, non mi prendete così su due piedi. Parleremo con un poco di posatezza. Dopo pranzo, questa sera...