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184 ATTO SECONDO

Roberto. Permettetemi dunque ch’io li legga.

Violante. Sì, teneteli pure; leggeteli a questi signori che bramano di sentirli; e dove non intendessero, fate voi l’interpretazione.

Roberto. Ben volentieri. (Ora mi chiarirò). (da sè)

Gismondo. (Sentirete). (a don Fausto)

Fausto. (Sono in un’estrema curiosità). (da sè)

Roberto. (Legge.)

Una donna infatuata,

Un nipote sciagurato. (si mette a ridere)

Fausto. Come! ridete ancora di tali ingiurie?

Violante. Spiegategli questi due versi. (a don Roberto)

Roberto. Signora, io non li saprei spiegare senza offendervi maggiormente. Vi giuro bene, che questi versi non sono miei.

Gismondo. Non glieli avete mandati voi?

Violante. Il vostro servo medesimo me li ha recati.

Roberto. Traccagnino? il mio bergamasco?

Violante. Sì, egli medesimo.

Roberto. Io rimango di sasso.

Fausto. Non occorre nascondersi dietro un dito. Voi avete offesa donna Violante, e dell’offese a lei fatte, a me ne dovete render conto.

Roberto. Come?

Fausto. Colla spada alla mano. (parte)

Pirolino. Servitor umilissimo di lor signori. (parte con timore)

Roberto. Io sono in un impegno senza sapere il perchè.

Gismondo. Vi par poco il principio di quella satira, figuratevi cosa sarà il resto.

Violante. Che satira! Date qui, don Roberto. Questa carta mi è cara, quanto una delle mie medesime produzioni di spirito. Non badate a don Fausto. Mi siete caro. Mi preme la vostra vita; conservatela per gloria delle Muse, per consolazione di Apollo, e per decoro di Partenope nostro.

Roberto. (Ride.)

Gismondo. Ridete? sì signore, di Partenope nostro. Non si può scrivere con maggior eleganza. La sirena Partenope che ha